"Planinari" vuol dire "montanari" in bosniaco. Perchè mi sembra giunto il momento di dedicare un post alla montagna, ma non una montagna qualsiasi - anche perchè venendo da me, la donna meno montagnosa dell'emisfero occidentale, suonerebbe decisamente fuori luogo - ma a Skakavac, all'Hotel Promaja e ai
planinari che si raccolgono intorno a Dragan. Ma andiamo per ordine.
Correva ancora l'anno 2009, d'estate, quando un gruppo di sprovveduti italioti in terra balcanica decise un giorno di cercare rifugio dal calore che fondeva la conca facendo due tuffi in un laghetto qualsiasi dei molti che offre la rigogliosa natura bosniaca. Il
locus amoenus piú vicino a Sarajevo città sono le cascate di Skakavac: i nostri avventurieri, convinti che l'obiettivo fosse facilmente raggiungibile in macchina, della serie: parcheggio-svestimento-bagnetto, senza pensarci su troppo si armarono di
infradito di plastica, secchiello e paletta, pero poi scoprire che la Punto doveva per forza fermarsi all'inizio dello sterrato se non si voleva rischiare di sfondarla, e che da lí li aspettavano apparentemente 3 ore di salita sui sassi. Informazione quest'ultima fornita da una coppia di attrezzatissime ed allenatissime scalatrici neozelandesi che, alla vista dell'armata brancaleone, dopo averci lanciato un'occhiata che mi ha ricordato quella che i marinai inglesi regalano ai naufraghi italiani nella parte finale di "Mediterraneo", si sono impietosite e ci hanno detto: "Eventualmente c'é un bar a metà strada". Un barlume di speranza.
Il bar in questione é l'Hotel Promaja. Due casette di legno lungo la strada che porta alle cascate, una é la zona giorno, cucina a legna, quattro o cinque tavoli, una stufa; l'altra la zona notte (quella nella foto su), qualche materasso sul pavimento, cuscinoni e tante coperte. Perché all'Hotel Promaja non c'é il riscaldamento, nonostante stia a mille metri di quota; a dire il vero non c'é neanche la corrente elettrica, ne' l'acqua calda, ne' il telefono. D'estate ci si lava al ruscello, d'inverno si fa a meno, anche perché comunque l'acqua ghiaccia nei tubi e non scende neanche quella fredda. Rustico, diciamo.
Quando arrivi all'Hotel Promaja trovi Dragan ad accoglierti. A volte anche suo figlio. Se vuoi mangiare mangi quel che c'é, tutto buonissimo colto e preparato da loro sulla montagna; se vuoi bere, c'é la birra tenuta in fresca nella neve e la rakija della casa, o il caffè, o i succhini che prepara Dragan con le erbe e le bacche (alcuni fanno schifo ma dice che fanno tanto bene, lui saprà); se poi ti va di fermarti a dormire ti trovi il tuo spazietto o sulle panche o nella casetta-zona notte; se invece vuoi solo stare un po' lì a riposarti e chiaccherare, nessuno te lo impedisce.
All'Hotel Promaja sono andata varie volte l'anno scorso. Quest'anno, dopo pochi giorni dal mio ritorno, è stata organizzata dalle ragazze una cena con i
planinari, ovvero l'entourage di Dragan su a Skakavac, con cui loro nel frattempo hanno stretto i rapporti nei mesi in cui sono stata via.Ci sono andata che avevo ancora addosso quella sensazione di spaesamento dovuta al recente arrivo, amplificata in parte dall'ovvio constatare che, durante la mia assenza, le persone che frequentavo di piú erano andate avanti con la loro quotidianitá sarajevese. La cena é stata un toccasana per le mie vaghe titubanze e semi-timidezze: non solo la serata è stata estremamente divertente di per sé, ma la cosa più importante è che mi ha fatto di nuovo sentire completamente a mio agio con l’ambiente locale, lo spirito domaći balcanico, l’humor bosniaco che è talmente rilassato e comunicativo che ti fa ridere di gusto anche se capisci un terzo di quel che si sta dicendo.
Con Dragan in particolare ho chiacchierato a lungo e si è rivelato una persona molto dolce ed attenta, a parte simpatica, ma questo già lo sapevamo. Mi ha parlato del rapporto contraddittorio che ha con gli stranieri, o forse più che contraddittorio mi ha spiegato qual è l’inconveniente che lui trova nel relazionarsi con gli stranieri, e che è la nostalgia che poi prova quando una persona con cui è riuscito a stabilire un legame – di qualsiasi genere – poi irrimediabilmente, presto o tardi, se ne va e chissà se tornerà mai più. Direi che é un tipo che si affeziona molto velocemente alle persone, parlava di noi come se fossimo delle care amiche, e pare che questo attaccamento sia una diretta conseguenza dell’ambiente amichevole e rilassato che è riuscito a creare su a Skakavac. Ne è molto orgoglioso, e con ragione, ma non se ne assume la diretta responsabilità, non è lui che ha creato l’ambiente dell’Hotel Promaja, ma la gente che lo frequenta.
Dragan è stata anche la prima persona di qua a cui ho spiegato più nel dettaglio di cosa tratta la mia ricerca – andando al di là della frase standard, ormai collaudatissima, “radim istraživanje o gradskoj reconstrukciji Sarajeva”. Mi ha ascoltato con attenzione, digeriva ogni mia frase con lentezza ed assentiva. Credo che fosse sinceramente interessato, e ne sono felice. Anche perché mi è sembrato di essere finalmente riuscita a riassumere il punto della questione in poche ma esaurienti parole, forse per la prima volta. O magari semplicemente ha più valore per me perché ne parlavo con qualcuno di qua che non mi ha preso per pazza ne’ ha fatto una faccia come a dire “ma quante fregnacce”, il che è stata un’iniezione di fiducia niente male.
Ad un certo punto ha fatto un commento molto pertinente, ovvero parlando dei metodi d’indagine in antropologia, ha detto che gli sembrano un po’ indiscreti (je malo indiskretno); gli ho risposto che ha assolutamente ragione, e che proprio in questo sta la difficoltà che ho nell’affrontare il lavoro di campo, perché mi sembra di ficcare il naso negli affari degli altri senza averne nessun diritto. Ma poi entrambi osservavamo che se le cose si fanno con calma, polako, si possono raggiungere degli ottimi risultati senza diventare violentemente indiscreti con la gente. E comunque si ribadisce sempre il concetto che polako è la chiave per tutto, e Dragan ne è il portabandiera.
Ps: le foto sono di sabato scorso. Ormai era la quinta o sesta volta che andavo su ma ci terrei a precisare, per la cronaca, che ancora non sono riuscita ad arrivare alle cascate. Un baretto a mezza via é un gran deterrente.